CIAO PAPÀ! (Parte I)
–"Ciao papà…che sorpresa, eh…!? Sicuramente ti starai chiedendo chi sono... Non importa, piccola. L'unica cosa che devi tenere a mente è quella quando ti prendo Ti lascerò all'asciutto... Non riuscirai a credere a come ti darò, piccola; Mi bagno tutto solo parlando con te... ahhh... beh, devo smetterla. Ma vai a prepararti per la migliore costrizione a letto della tua vita, tesoro... Ciao, a presto"
Dopo aver ascoltato questo, modulato dalla voce femminile più sensuale che si possa immaginare, Gregorio è rimasto assorto, rigido, con il tubo del telefono stretto nella mano sinistra fino a 25 secondi dopo che il suo interlocutore ha interrotto la comunicazione. Fu strappato dal suo muto torpore dalla voce tonante del suo caposezione.
"-Tu, al lavoro! Ti ho già detto mille volte che qui non si possono fare né ricevere telefonate private!-” urlò il suo superiore, a nome dell'azienda di import ed export dove Gregorio aveva lavorato per più di vent'anni. Già 50enne, era ancora troppo single per i suoi gusti, di professione impiegato amministrativo, cronico, asmatico, molto miope, eternamente sovrappeso, possessore di cattivo gusto e alitosi a qualsiasi prova, abbastanza calvo e decisamente brutto.
Naturalmente, il resto della giornata non fu come al solito per lui. Mentre manipolava fatture e bolle nello squallido ufficio dove era stipato insieme ad altri nove disgraziati, Gregorio si scervellava pensando alla telefonata appena ricevuta. Perché mai in vita sua una donna gli aveva parlato così; nemmeno la più economica e bisognosa di quelle patetiche prostitute che frequentavano non più di quattro o cinque volte l'anno, per mancanza d'altro.
Quando erano le 20 di quel giorno, uguali a tutti tranne che per la strana telefonata, Gregorio salutò meccanicamente i suoi compagni e uscì in strada. Prima di mettere piede sul marciapiede, guardò in tutte le direzioni. Come di solito. Le cose e le facce di ogni pomeriggio. Niente di speciale, anche se in qualche modo per Gregorio era tutto diverso. Mentre camminava verso il suo appartamento, riesaminava mentalmente ciascuna delle parole che quella voce grondante di sesso le aveva lanciato contro, senza darle la minima possibilità di una risposta. La sua proverbiale mancanza di immaginazione gli impediva di considerare la possibilità che la telefonata misteriosa fosse uno scherzo ordito da uno dei suoi pochissimi amici, quindi non riuscì a superare la sorpresa.
Così, girando la testa in tutte le direzioni, percorse le dodici strade che separavano il suo posto di lavoro dall'insignificante bilocale (più da una e mezza) dove abitava, unico bene di qualche importanza dopo 30 anni di lavoro.
Dopo un saluto monosillabico al portiere del palazzo, varcò l'ingresso ed entrò nell'ascensore. Raggiunse il quinto piano e, prima di uscire completamente dall'ascensore, si sporse, osservando attentamente che nel corridoio scrostato non c'era nessuno. Non c'era, tra l'altro. Con un balzo ridicolo uscì dall'ascensore, chiudendo la porta con la massima cura, come se temesse che la bomba al telefono lo scoprisse.
Si avvicinò al suo appartamento cercando di percepire anche il più piccolo dettaglio di tutto ciò che lo circondava. Non c'era niente di strano: lo stesso odore di cibo stantio, le stesse macchie di umidità sui muri, le solite piastrelle sporche, e quell'aria abbandonata tipica di un palazzo vecchio e povero pieno di gente che resiste invece di vivere.
Raggiunse la sua porta, inserì la chiave e la girò molto lentamente. Dopo quella che sembrò un'eternità di tempo, fu incoraggiato a entrare. Niente di insolito, come vide accendendo la luce nel soggiorno-pranzo annesso alla minuscola cucina che costituiva la parte più presentabile del minuscolo appartamento. Con un sospiro di sollievo, si tolse la cravatta logora, si sbottonò il colletto e gettò via l'eterno cappotto di colore ormai indefinito, che avrebbe potuto essere blu navy tanto tempo fa. Dopo essere crollata su una piccola sedia, si rese conto che non poteva smettere di pensare a quella chiamata, e soprattutto non poteva smettere di sentire quella voce degna del più felino annunciatore radiofonico notturno nella sua testa.
Passarono i minuti e lentamente si calmò pensando che fosse stato un errore. Che nessuno gli ha mai parlato in quel modo, e nessuno l'avrebbe mai fatto. Un pietoso errore di qualche ardente amante, e nient'altro. Ma lo squillo del telefono lo distolse dai suoi pensieri. Ancora una volta, scosso, prese il tubo e rispose con un quasi impercettibile "Ciao", solo per sentire immediatamente la stessa voce vigorosa che lo aveva scosso in ufficio:
“Papirrín… meno male che ti ho trovato. Volevo dirti ancora che ardo di desiderio per te. Giuro che quando finalmente ci incontreremo, non riuscirai a credere a tutto quello che ti farò a letto, puledro mio. Ti succhierò su e giù, ti lascerò senza fiato, vedrai cos'è una donna selvaggia in calore, amore mio. Per fortuna non ci vorrà molto ormai, perché non voglio più averti tra le mie gambe, macho." Fine della comunicazione, e rinnovato stupore per Gregorio, che con mano tremante si tolse il tubicino dall'orecchio e lo appese malamente. Non poteva nemmeno più farsi domande; con questa seconda chiamata le possibilità di errore si sono ridotte fin quasi a scomparire.
Ci volle più di un'ora prima che riuscisse a smettere di ripetere quelle parole inquietanti nella sua mente, riuscisse ad alzarsi e andare in cucina, a riscaldare lo stufato pastoso avanzato dalla sera prima. Quello, e un panino minimo di dubbio contenuto a mezzogiorno (più alcuni caffè mattutini) era tutto ciò che avrebbe dovuto mangiare quel giorno. Il menu non era molto diverso da quello che era stato in centinaia di altri giorni della sua povera vita, ma oggi tutto sembrava molto diverso. Lo inghiottì velocemente, spingendolo giù con un paio di bicchieri di vino scadente, e dopo aver gettato i piatti nel lavandino si diresse verso il minuscolo bagno. Dopo le pratiche igieniche del caso, si tolse i pochi vestiti che le erano rimasti addosso e si sdraiò goffamente sul letto.
(CONTINUA…)